Piazza, amici di Dante e benefici
spirituali a Cafaggio nel 1290-91

I fatti accaduti alla SS. Annunziata nel 1290, quando si chiamava ancora, Santa Maria di Cafaggio, per quasi tutto l’anno interessarono lo spazio di terreno esistente tra la porta di Balla, i frati di Sant’Egidio (della penitenza o saccati) e gli stessi Servi di Maria. Questa ampia zona di campagna, adiacente alle vecchie mura, oggi è compresa all’incirca tra la metà di via dei Servi e il santuario.
A quel tempo, su di essa il Comune di Firenze stava progettando la piazza davanti alla chiesa e altri particolari utilizzi che non sono noti. Per questo aveva compiuto e emanato alcuni atti che si erano affiancati a quelli dei privati, e a volte avevano generato dei conflitti. A gennaio per esempio era avvenuta la vendita a Guido del fu Ridolfo di un casolare a Cafaggio “in via del Leone” da parte di Bernardo del Sasso del fu Boldroncino dei della Tosa (famiglia amica del convento); a maggio a Santa maria fu stilata una procura nella quale si vedono elencati più di una trentina di religiosi; a luglio era stato emanato dalle autorità il divieto di fare innovazioni nella zona e successivamente aveva avuto luogo la misurazione dei terreni con gli agrimensori comunali; a novembre infine erano state restituite a dei privati, con provvisione del capitano Beccadino e dei priori, certe terre e casolari ed era così caduta l’accusa fatta a terze persone dai frati rappresentanti dei legittimi proprietari.
Nel 1290, insomma, anche leggendo solo questi atti, sembra essere in corso, per gli interessi pubblici e privati, un periodo mutevole, con prospettive concrete e tuttavia di scontento, dovuto anche alla frustrante e non ancora dimenticata battaglia di Campaldino contro gli aretini, costata impegno e uomini e persa l’11 giugno 1289.
Nel 1290 infatti furono chiamati a gestire la cosa pubblica, un semestre per ciascuno e non più per un anno intero, due podestà, citati negli atti dei Servi di Maria, a maggio – Rosso Gabrielli da Gubbio – e a luglio – Guido da Polenta da Ravenna, padre di Francesca da Rimini di dantesca memoria –. Si affiancava a quest’ultimo, a maggio, Bernardino da Bologna con la funzione di difensore delle arti e degli artefici, cioè di capitano del popolo.
Tra maggio e luglio in città continuò ad avere i suoi effetti anche uno scandalo nell’ambito delle gabelle, avvenuto in tempi precedenti, ma ricordato posteriormente riguardo a dei soprastanti che erano finiti in prigione e poi evasi.
Pure i frati ebbero delle pesanti questioni con la gabella o meglio con Asbergo da Bologna giudice preposto. Ne era stata informata la curia pontificia che aveva nominato un delegato, l’arcidiacono senese Monaco per le eventuali censura e/o scomunica. Nel settembre però a quest’ultimo fu comandato di trasmettere l’affare a un sottodelegato, il canonico senese Rainaldo Malevolti. Nella missiva si ricorda il fattaccio in dettaglio, cioè di come alcuni frati di Cafaggio – Bartolo, Pacifico, Bernardo, Giovanni e Iacopo – fossero stati picchiati da Asbergo che “manus iniecit usque ad effusionem sanguinis diu timore post posito temere violentas” – alzò le mani fino al punto di versare sangue e a lungo temettero violenze successive.

Qualche mese dopo, altri avvenimenti furono importanti per i Servi di Maria. Il 21 marzo 1291 Niccolò IV concesse all’ordine di poter adunare il capitolo ed eleggere il proprio priore generale. Il testo riprendeva – come si dice espressamente – la bolla “Inducunt nos” di Urbano IV del 25 luglio 1263.
Tra le caratteristiche espressioni è da segnalare l’inizio: “Inducunt nos opera pietatis, quibus in vestro ordine cum omni diligentia deservitur” – Siamo indotti alle opere di pietà (di amor di Dio), che nel vostro ordine sono custodite con ogni diligenza; e quindi “... concedamus affecto benivolo – concediamo con benevolo affetto –, ... quanto richiesto.
Seguivano le disposizioni sulla conferma del priore generale: sarebbe stata emessa dall’ordinario diocesano se il capitolo si fosse svolto “ultra quinque dietas” (oltre cinque giornate di viaggio) o dalla curia romana e dal papa e successori se fosse stato celebrato entro le cinque diete.
La copia della concessione rimasta oggi a Firenze venne redatta e autenticata nel 1300 dai notai Francesco di Neri da Barberino, Lapo di Gianni Ricevuti e Manno di Banco Ormanni.
I primi due furono noti letterati che si citano sempre a proposito di Dante. Francesco di Neri da Barberino di Vald’Elsa nacque nel 1264 e studiò sotto Brunetto Latini. Nel 1290 iniziò il trattato in volgare dei “Documenti d’amore”. Dopo l’esilio, il ritorno a Firenze e una vita tranquilla esercitando l’ufficio da notaio, morì nel 1348.
Di Lapo di Gianni Ricevuti, notaio e poeta stilnovista, invece non si conosce né la data di nascita né quella di morte, ma solo la notissima citazione di un sonetto del Poeta:
“Guido, i’ vorrei che tu e Lapo ed io | fossimo presi per incantamento ...”, eccetera.
La scrittura e il segno notarile di entrambi, per chi fosse curioso, si trovano riprodotti nelle fotografie della pergamena del 1291 qui inserite.

Non mancarono, infine, per contrappasso ad una società violenta e sempre in guerra, altre manifestazioni di concordia e di affetto reciproco da parte dei frati e associati.
Il 23 marzo 1291 le due congregazioni dei Servi di Firenze e di Siena condivisero i propri “benefici spirituali” in vita e in morte, cioè nei suffragi. Così si trova in una lettera della confraternita di Siena diretta “universis et singulis rectoribus, camerariis, consiliariis ceterisque hominibus et personis tam instantibus quam venturis congregationis fraterne et de fraternitata inclite Marie Virginis Christi Matris de ordine et conventu fratrum Servorum Virginis (***) de civitatis Florentie fratribus in Christo tenerrime diligendis”, dove spicca, in tal senso, il “molto teneramente diletti fratelli in Cristo”.
Nel testo poi si accusa ricevuta della lettera della fraternita fiorentina, ricordando ancora la “teneritudine” da loro dimostrata con il volerli fare partecipi e consorti delle lodi, orazioni, elemosine, indulgenze, predicazioni e beni spirituali “oppinantes virtutum viarum merita opera – considerando le opere meritorie delle vie delle virtù.
La partecipazione riguardava – si ripete –, “universaliter singulos et singolariter universos”, in vita e in morte “et insuper”, e aggiungeva quella “ieuniorum, itinerum, peregrinationum et bonorum omnium pietatis que facimus” – dei digiuni, dei cammini, dei pellegrinaggi e di tutti i beni di pietà (amor di Dio) che facciamo.

Paola Ircani Menichini, 14 ottobre 2022.
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